Una storia fatta di storie. Un anno di esperienza in comunità, raccontata nel libro “Nessun destino è segnato. Le storie di Casa Emmaus” (Alfa Editrice).
A Iglesias, da 33 anni, una comunità accoglie persone in stato di estrema povertà, migranti, minori, detenuti e donne che hanno subìto violenze fisiche e psicologiche.
Luca Mirarchi, un giovane giornalista cagliaritano, ha tracciato un profilo di quella realtà di Iglesias che negli ultimi tre decenni ha accolto migliaia di persone. Storie che si intrecciano nella loro complessità e diversità “Assediati dalle dipendenze, da un passato di privazioni, in fuga da una guerra. La società li giudica, Casa Emmaus li accoglie, senza distinzioni. Perché non esiste una vita che non si possa recuperare, se chi soffre ha il coraggio di chiedere aiuto”, sintetizza Mirarchi.
L’idea del libro si è fatta strada nel giugno del 2019, quando la direttrice Giovanna Grillo ha proposto a Luca di raccontare la storia della comunità fondata nel 1988 con l’obiettivo di rappresentare la vita di una realtà così complessa: oltre alla sede centrale, che ospita gli adulti uomini, infatti, esistono anche strutture dedicate a donne adulte, ragazze e ragazzi minori, migranti e persone affette da disturbi del comportamento alimentare.
Per il suo libro Mirachi ha intervistato circa trentacinque persone fra ospiti, ex ospiti e operatori della Comunità. Queste interviste hanno costituito le fondamenta su cui edificare la storia di un’impresa sociale che ha dato aiuto, in oltre trent’anni, a più di seimila ospiti e che attualmente offre lavoro a ottanta persone.
Le storie raccontate sono straordinarie e sconvolgenti: uomini e donne che cercano di ripartire. Come quella di una signora distinta, sui sessant’anni, che era prigioniera della sua vita dorata e che per questo affogava un dolore sordo nell’alcolismo. O quella di un’adolescente che era stata accusata di aver picchiato i genitori ed era sicuramente turbolenta, eppure mentre le parlavo lasciava trasparire un candore che mi ha commosso. O, ancora, quella di una ragazza siriana scappata dall’immane tragedia della guerra civile e che avrebbe amato tornare nella città in cui aveva vissuto, ma non avrebbe potuto farlo mai più perché l’intera città era stata rasa al suolo dalle bombe.
Un’esperienza che ha cambiato profondamente anche lo sguardo sul mondo dell’autore “Ho capito che vale sempre la pena di aiutare una persona in difficoltà, anche se sembra persa e probabilmente destinata a ricadere – riflette Mirachi - questa esperienza nel sociale ha ampliato il mio raggio d’azione, arricchendomi come essere umano”.