Intorno a una parola importante quanto impegnativa come verità, ci sono tre dimensioni che Ottavio Olita ci presenta all’inizio di questo romanzo: libertà, rivoluzione, costo. “La verità vi farà liberi”, cita Olita dal Vangelo secondo Giovanni (cfr. Gv 8,32)………. L’autore riprende una citazione di Antonio Gramsci, secondo la quale la verità è sempre rivoluzionaria. Siamo abituati a pensare a una rivoluzione che presuppone eroi: il vero “eroismo”, nella ricerca della verità, è quello - ordinario ma tanto difficile - di agire secondo coscienza. Penso a tutti coloro che sono morti per mano della criminalità organizzata solo perché facevano il loro dovere: ci hanno insegnato con la loro vita che il bene personale è conseguenza del bene comune. Che non si può essere cittadini a intermittenza, a compartimenti stagni. Che la prima mafia si annida nell’indifferenza, nella superficialità, nel quieto vivere, nel puntare il dito senza far nulla, nel vedere il male e girarsi dall’altra parte. La loro è dunque un’eredità d’impegno, di responsabilità, di risveglio delle coscienze. Cioè di verità. Ci hanno insegnato a cercarla, a non averne paura, a dirla anche quando ci mette in una posizione scomoda. È la verità cercata per ottenere giustizia quella di cui Olita ci parla nel suo romanzo, il cui protagonista non è solo Pietro Carboni, il giovane sardo che dopo l’uccisione del padre Marco trova lavoro a Londra, vivendo in una sorta di doppio esilio: esiliato dalla verità circa la morte del padre, esiliato dalla propria terra per cercare lavoro altrove. Protagonista e perno della vicenda è la rete di persone e relazioni che circonda Pietro: la sorella Maria, la mamma Antonietta, lo zio Paolo, l’avvocato Giuliano Deffenu, il carabiniere Gino Murgia, il giornalista Nicola Auletta. L’eroe della verità non è una persona sola, è piuttosto un noi, è una collettività quasi domestica ad innescare la rivoluzione, a riaprire ricordi e ferite sette anni dopo l’assassinio di un padre di famiglia, persona onesta, lavoratore e sindacalista. Lo riconosce uno dei personaggi, a conclusione della storia: “L’unica cosa che mi sento di dirvi (…) è che questa vicenda è servita anche a farci rendere conto di quante famiglie vengono sconvolte dalla perdita del capofamiglia caduto mentre si impegna per il bene collettivo. Famiglie rovinate. Per fortuna non è il vostro caso, ma forse siete un’eccezione. Tenetevi stretto questo bel rapporto che avete fra voi”. don Luigi Ciotti